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Black Hat SEO: il modo peggiore di fare marketing

7 Novembre 2022 - Storie Digitali

Cercare di raggiungere i propri obiettivi tramite sotterfugi e scorciatoie è un’inclinazione tipica dell’essere umano ed anche in campo SEO l’uomo non è da meno.

Infatti, parallelamente alle più comuni prassi ufficiali che rientrano nei limiti fissati dalle Linee Guida di Google esistono molte altre pratiche border line o che palesemente violano le norme stabilite. In questo caso si può parlare della cosiddetta Black Hat SEO.

L’espressione si riferisce a tutte quelle azioni scorrette e volutamente manipolative che si basano su particolari caratteristiche degli algoritmi dei motori di ricerca per forzare il ranking di un sito web, portandolo in alto nelle SERP.

Negli anni Google ha affinato le proprie capacità di individuare e penalizzare queste tecniche. In realtà, tali minacce non scoraggiano del tutto gli esperti SEO che aggirano i regolamenti incuranti dei rischi e delle conseguenze.

Vediamo allora di comprendere meglio cosa significa Black Hat SEO e quali sono le principali pratiche applicate da coloro che vogliono ingannare i motori di ricerca.

Cos’è la Black Hat SEO

Con il termine Black Hat SEO si intendono tutte le attività impiegate per avere un migliore posizionamento dei siti sui motori di ricerca, le quali violano in maniera evidente le linee guida fornite da Google e tentano di manipolare gli algoritmi per sfruttarne le vulnerabilità.

Lo scopo principale di chi fa Black Hat SEO è quello di incrementare più rapidamente il ranking assegnato dai motori di ricerca ai portali web, o per lo meno è quello che si vorrebbe ottenere con tali metodi scorretti.

Il nome Black Hat SEO si rifà ai film western degli anni Quaranta in bianco e nero. In queste pellicole il cappello nero era il simbolo dei cattivi della storia che si distinguevano invece dai buoni che portavano un cappello bianco.

Dunque, l’espressione richiama i vecchi e cattivi cowboy e chi esegue queste tecniche rischia di essere inserito da Google nella black-list.

Per mantenere standard elevati ed essere il principale motore di ricerca, il colosso di Mountain View deve aggiornare con costanza l’algoritmo per contenere la presenza di risultati non pertinenti o spam.

Le regole sono sancite dalle linee guida ufficiali pubblicate da Google ed accessibili a professionisti SEO e sviluppatori. Nonostante ciò, ancora un gran numero di persone che lavorano in ambito SEO provano ad aggirare il regolamento attraverso l’utilizzo di metodologie poco chiare o del tutto illecite.

Black Hat SEO, White Hat SEO e Grey Hat SEO

L’obiettivo di fondo di qualsiasi attività SEO è sempre quello di fare in modo che il sito sia posizionato in alto nelle SERP e che quindi sia proposto tra i primissimi risultati quando gli utenti lanciano una ricerca secondo precise parole chiave.

Quella che si contrappone alla infida e oscura Black Hat SEO è la White Hat SEO, ovvero le pratiche realizzate dai professionisti che rispettano in pieno le indicazioni fornite da Google e promuovo soltanto contenuti di valore e qualità.

Coloro che agiscono secondo la White Hat SEO mettono in campo strategie ed accorgimenti leciti ed in maniera naturale. Anche in tal caso lo scopo finale è scalare le SERP, senza però infrangere alcuna regola o policy dei motori di ricerca.

E se qualcuno si pone più o meno volontariamente a cavallo tra le pratiche di Black Hat SEO e White Hat SEO?

Allora si può parlare di Grey Hat SEO, cioè di quelle tecniche che non possono essere incluse in nessuna delle altre due categorie, ma che si muovono su un confine sottile e ambiguo tra quel che è permesso e quello che invece è considerato manipolativo.

Il nome è un chiaro riferimento al colore intermedio tra bianco e nero. Infatti, la Grey Hat SEO mescola tra loro pratiche consentite ad altre meno lecite, ma non così estreme come quelle della Black Hat SEO.

Ad ogni modo, Google si è adoperata con continui aggiornamenti degli algoritmi per combattere anche tali metodologie che si pongono appunto a metà strada, in una zona grigia e indefinita.

Un esempio di Grey Hat SEO consiste nel riscrivere da capo i testi, svolgendo una specie di parafrasi per utilizzarli su siti diversi, ben sapendo che Google e altri motori di ricerca penalizzano i contenuti copiati.

Altra tecnica è quella di aggiornare i testi cambiando piccoli dettagli di tanto in tanto, così che i motori di ricerca registrino le modifiche apportate. Anche ottenere illecitamente un nome di dominio aziendale rientra nella Grey Hat SEO.

Le tecniche di Black Hat SEO

Le possibili pratiche di Black Hat SEO che si possono attuare oggi sono almeno una decina, se non di più. Molte di queste prevedono l’acquisto di link, pezzi di testo nascosto, commenti spam, sovraccarico di keywords nei testi e molto altro ancora.

Le più facili da individuare per Google, e quindi le meno efficaci, sono le ripetizioni di parole chiave e tutto ciò che riguarda le ridondanze di testo. Molto più difficili da trovare sono le tattiche come le duplicazioni di contenuti simili o il desert scraping, cioè l’acquisto di domini scaduti.

Soprattutto in quest’ultimo caso c’è il pericolo di comprare un sito già penalizzato da Google o che possiede un profilo di backlink di pessima qualità. Ma, se in principio le attività di Black Hat SEO sembrano essere efficaci, a lungo andare non sarà più così perché i motori di ricerca prendono le contromisure.

Quando Google intercetta qualcosa di sospetto o di evidentemente illecito reagisce sempre in modo concreto e deciso e può decidere di penalizzare il sito come posizione SERP oppure eliminare il dominio dal proprio indice.

È bene dire però che non sempre tali azioni di forzatura del sistema sono consapevoli o fatte di proposito. Questo perché spesso chi lavora con la SEO non ha una preparazione altamente professionale per poter distinguere ciò che è permesso da quello che non lo è.

In altre parole, per essere sicuri di non inciampare in pratiche di Black Hat SEO è indispensabile essere qualificati per il ruolo, evitando di essere superficiali ed approssimativi nelle scelte.

Andiamo ad analizzare le principali tecniche di Black Hat SEO che attualmente trovano largo impiego tra gli specialisti SEO.

Acquistare link

Un link di qualità e pertinente è capace di convogliare il traffico verso un determinato dominio e contemporaneamente può segnalare all’algoritmo di Google che il sito è una fonte affidabile.

Inoltre, un backlink positivo agevola Google nella mappatura dei siti e consente al crawler di farsi un’idea del progetto per decidere più facilmente come e quando mostrare la pagina nei risultati della ricerca web.

D’altra parte, però, acquistare link è contro le regole imposte da Google e chi viene colto sul fatto può subire una penalizzazione su una pagina o su tutto il sito. In aggiunta, Google controlla i link che probabilmente sono stati comprati ed è in grado di rintracciare pattern strani e poco naturali dietro i backlink.

Desert scraping

Con desert scraping si intende la compravendita di domini scaduti per recuperare contenuti non più indicizzati e pubblicarli sulle proprie pagine. Come è risaputo, un sito guadagna ranking anche per i link in entrata ed ecco per quale motivo gli addetti SEO comprano domini scaduti.

Con i domini acquisiti viene eseguito un redirect 301 per tutte le pagine che puntano al nostro portale, così da raccogliere tutti i backlink che aveva incassato il sito.

È bene prestare attenzione nel fare desert scraping poiché Google è sempre più determinato nel trovare chi è solito abusare di queste tattiche.

Link nascosti

È un metodo di Black Hat SEO più vecchio e quasi in disuso, che a volte qualcuno ancora utilizza. Viene messo in atto occultando un link nel testo del sito oppure nascondendo il link usando lo stesso colore dello sfondo.

Si tratta di un escamotage facilmente rilevabile da Google. Anche perché inserire un numero elevato di link inutili significa abbassare la pertinenza e dare al motore di ricerca meno motivi per indirizzare il traffico verso il proprio sito.

Commenti spam

I commenti spam sono dei messaggi indesiderati di carattere pubblicitario che contengono il link che si desidera posizionare.

All’inizio si inviavano prettamente per e-mail, ma nel tempo si è propagata anche attraverso i commenti agli articoli dei blog e sui social media tramite messaggi diretti, menzioni o hashtag.

Oggi di solito i sistemi bloccano automaticamente questi tentativi di spam, dei quali è bene non servirsi per non incorrere in penalizzazioni per spam.

Keyword stuffing

Quella della keyword stuffing è un’abitudine ancora dura a morire e purtroppo molto diffusa. In sostanza si va a riempiere il testo di parole chiave ripetute in maniera costante e anche pesante, rendendo a volte difficile la lettura.

Il tutto parte dal concetto erroneo per cui una pagina deve essere costruita intorno ad un’unica keyword e che sia sufficiente ripeterla allo sfinimento per scalare la SERP. Molti non capiscono che invece è importante mirare soprattutto alla search intent.

La keyword stuffing è colpa per lo più dei copywriter e content writer, i quali pensano che scrivere un testo SEO voglia dire creare contenuti illeggibili ed infarciti di parole chiave ripetute fino allo sfinimento.

Contenuti nascosti

Con questa azione si nascondono i testi di una pagina web tramite il CSS, magari con un colore simile a quello dello sfondo, oppure attraverso JavaScript, con l’obiettivo di aggiungere elenchi di parole chiave da far intercettare soltanto dai crawler.

I testi nascosti erano molti frequenti fino a qualche anno fa ed erano usati da professionisti SEO o da webmaster alle prime armi. Naturalmente Google riesce a cogliere la differenza tra le keywords di un paragrafo e quelle nascoste sullo sfondo.

È utile specificare che non tutti i contenuti nascosti sono proibiti. La regola generale è che il contenuto è accettabile finché è visibile sia all’utente che al motore di ricerca.

Doorway pages

Le pagine Doorway sono generalmente autogenerate con il fine di dare maggiore visibilità sui motori di ricerca.

Sono convogliate verso una particolare keyword, anche su siti di tema del tutto differente rispetto alla parola chiave. Tali pagine sono create per classificarsi secondo precise keywords, reindirizzando poi i visitatori verso altre pagine non attinenti.

Le Doorway pages sono tipiche dei SEO specialist che scrivono una pagina di testo per ogni keyword, come quando si crea una pagina con lo stesso servizio per città differenti (‘imbianchino milano’, ‘imbianchino roma’).

Cloaking

Con il cloaking si vanno a costruire contenuti e pagine visibili solamente ai crawler per offrire una versione diversa della pagina rispetto a quella che visualizzano gli utenti umani.

È un vecchio trucchetto che ancora alcuni usano, sfruttando una pagina flash per occultare informazioni che solo Google può vedere tramite HTML. Ovviamente ciò che viene percepito dai crawler del motore di ricerca è ottimizzato per avere un migliore posizionamento.

Come tutte le altre azioni di Black Hat SEO, anche il cloaking è vietato e la pena inflitta da Google è la cancellazione dall’indice.

Spinning degli articoli

Fare spinning di articoli vuole dire semplicemente riscrivere il contenuto di un testo impiegando sinonimi e modificando la costruzione delle frasi, senza alterare le informazioni di base del materiale di provenienza.

Lo spinning si può fare sia manualmente che attraverso strumenti tecnologici. In qualunque caso Google continuerà a punire certi comportamenti, penalizzando i siti che se ne servono in quanto articoli del genere vanno ad abbassare la qualità di Internet.