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Neuromarketing: le neuroscienze al servizio della comunicazione

1 Agosto 2022 - Storie Digitali

Il settore del marketing oggi si suddivide in sottocategorie che si basano su impostazioni e metodologie di lavoro mirate e specifiche. È questo il caso del cosiddetto neuromarketing.

Si tratta dell’applicazione delle neuroscienze al marketing, con l’obiettivo di studiare i processi inconsapevoli che scattano nella mente del consumatore e vanno ad influire sulle decisioni di acquisto e sul conseguente coinvolgimento emozionale verso il marchio.

In poche parole, il neuromarketing è una sintesi di neuroscienza, economia e psicologia ed è uno degli approcci più utilizzati dalle aziende che usufruiscono dei dati estratti dal monitoraggio dell’attività cerebrale delle persone per incrementare le vendite.

A volte però i meccanismi che animano tale sistema suscitano degli interrogativi di tipo etico, a proposito della manipolazione mentale operata verso i consumatori per indurli a compiere una determinata scelta.

Vediamo in cosa consiste questa nuova disciplina, come viene applicata e quali sono i suoi limiti.

Cos’è e come nasce il neuromarketing?

Il neuromarketing è una scienza emergente ed è considerata una branca della neuroeconomia. In particolare, sfrutta le tecniche delle neuroscienze, il marketing tradizionale e la psicologia comportamentale.

È un potente strumento, grazie al quale i marketers di tutto il mondo analizzano le risposte che scaturiscono a livello cerebrale quando il potenziale cliente viene stimolato sensorialmente ed emotivamente.

Così facendo, è possibile impostare delle strategie di comunicazione sempre più sofisticate per comprendere meglio come funzionano le attività del cervello che guidano i comportamenti d’acquisto.

L’espressione neuromarketing è stata coniata nel 2002 da Ale Smitds e questa nuova metodologia vuole offrire una soluzione complementare alle solite ricerche di mercato.

Da anni viene impiegato dai principali brand per aumentare l’impatto delle pubblicità e creare prodotti di successo.

Secondo Martin Lindstrom, uno dei principali studiosi di neuromarketing al mondo, non basta più vendere gli articoli, ma piuttosto bisogna sedurre i consumatori.

Ecco che il marketing, l’arte della persuasione, si intreccia strettamente alla psicologia. Lo scopo è infatti individuare nuovi modi per far sì che la clientela compri una determinata cosa.

Ovviamente il cervello umano è ancora un gran mistero e nell’ultimo decennio gli esperti di marketing sono sempre più attivi nell’approfondire l’argomento.

Al giorno d’oggi siamo costantemente bombardati di informazioni e anche se pensiamo di compiere una scelta razionale, ci sarà sempre una componente emotiva.

Sempre secondo Lindstrom, la pubblicità tradizionale non funziona più e dunque i reparti marketing spendono tanti soldi per promuovere il brand, senza però che rimanga impresso qualcosa ai consumatori.

Forse le persone inconsciamente memorizzano una parte dei dati, che vengono poi archiviati da qualche parte nel cervello. Il neuromarketing serve proprio a capire dove finiscono queste informazioni e che influenza hanno sulle nostre scelte.

Per indagare il subconscio si ricorre a sistemi quali risonanza magnetica funzionale, elettroencefalografia e eye-tracking (monitoraggio dei movimenti oculari), tutti metodi non invasivi grazie ai quali registrare le risposte agli stimoli a cui si è esposti.

Neuromarketing vs. marketing tradizionale

Secondo il neuromarketing i sistemi tradizionali di ricerca come sondaggi e focus group sono spesso imprecisi e poco affidabili, in quanto i consumatori in teoria possono mentire o non riescono ad esprimere i meccanismi inconsci che li spingono verso certi prodotti.

In effetti, le risposte a indagini e questionari possono essere influenzate da vari elementi, non sempre consapevoli.

Ecco, quindi, che a volte i risultati ottenuti dagli intervistati non corrispondono con i dati provenienti dai test di imaging cerebrale.

Ci sono alcuni studiosi che accettano entrambi gli approcci, evidenziando quanto sia importante ascoltare comunque il consumatore per ricavare quante più informazioni possibili sul processo di scelta del prodotto.

La conclusione più ovvia è che marketing classico e neuromarketing non si escludono a vicenda. Anzi, possono essere usati in combinazione per costruire un brand di successo e che sappia incuriosire il pubblico.

I limiti del neuromarketing

Il neuromarketing è una scienza ancora in via di definizione che presenta dei benefici evidenti per le società che ne fanno uso. D’altra parte, ci sono dei limiti a questa disciplina, soprattutto per quanto riguarda il lato economico e quello puramente etico.

Un primo aspetto è legato ai costi per sostenere un sistema di comunicazione e promozione così raffinato.

Le tecniche utilizzate sono molto sofisticate e richiedono personale specializzato che sappia raccogliere e studiare i dati ottenuti. Quindi l’investimento iniziale potrebbe essere abbastanza oneroso e non accessibile a tutte le aziende.

Al di là del fatto che il neuromarketing potrebbe essere dispendioso, sono in molti a sottolineare le limitazioni di tale branca scientifica.

Il primo a parlarne è proprio Martin Lindstrom, il quale afferma che ci sono ancora nozioni a noi ignote a proposito del cervello, del quale abbiamo appunto una comprensione parziale.

Essendo legato all’apprendimento delle funzioni cerebrali, il neuromarketing è così vincolato alle evoluzioni e nuove scoperte nell’ambito delle scienze cognitive.

Infatti, disporre di immagini e scansioni sempre più avanzate non vuole dire poi saperle leggere ed interpretare correttamente. Inoltre, per spiegare al grande pubblico questi dati, i media usano delle spiegazioni semplicistiche e a volte non corrispondenti alla realtà.

Infine, il neuromarketing si espone a discussioni e dibattiti di carattere etico, a proposito dell’uso delle informazioni e delle conseguenze per il consumatore.

In America sono nate delle associazioni di consumatori che propongono petizioni contro l’uso di tecniche di neuromarketing, alcune presentate anche al Congresso.

Le principali critiche riguardano soprattutto l’utilizzo dei dati che potrebbero fare le aziende di prodotti meno salutari come fast-food e tabacco e la creazione di campagne elettorali troppo efficaci e persuasive.

Alle critiche gli esperti rispondono che il neuromarketing può essere impiegato per fare del bene o del male. Tutto sta nell’impiego che se ne fa. La responsabilità etica e morale è dunque nelle mani delle imprese, le quali dovranno agire con coscienza e trasparenza.

Le applicazioni del neuromarketing

Grazie alle nuove strategie di indagine messe a punto dal neuromarketing, è possibile comprendere le reazioni inconsapevoli dei clienti.

Questi meccanismi di analisi possono essere applicati al packaging dei prodotti o per misurare le performance delle pubblicità.

Così come le analisi condotte con fMRI, EEG o eye-tracking possono rivelare il comportamento davanti ad una pagina web o un post sui social.

I campi di applicazione del neuromarketing sono diversi e tutti rivolti all’interpretazione del pensiero e delle risposte dei consumatori al cospetto dei prodotti.

Uno dei primissimi studi condotti nel settore è stato eseguito dallo studioso Read Montague. L’esperimento è il celebre Pepsi Challenge Test, un blind test durante il quale venivano sottoposte alla persona due tazze bianche con dentro Coca-Cola e Pepsi.

Contemporaneamente veniva svolta una risonanza magnetica funzionale per monitorare le attività cerebrali dei partecipanti. Dai risultati si è visto che la gran parte delle persone, senza sapere che bevanda fosse, preferiva la Pepsi.

Quando successivamente veniva però mostrata la confezione del prodotto, la maggioranza aveva una preferenza per la Coca-Cola, supponendo che il sapore migliore fosse proprio di questa bevanda.

Non a caso la Coca-Cola veniva associata ad una serie di memorie, valori e immagini sedimentate negli anni. Insomma, tali elementi e reminiscenze condizionavano la scelta e la stessa percezione del prodotto.

Oggi il neuromarketing può rivelarsi molto utile ed applicabile in svariati settori e ambiti del marketing. Andiamo a scoprire quali.

Brand Strategy

Tramite le tecniche di neuromarketing si possono effettuare dei test mirati per comprendere se una campagna pubblicitaria attirerà o meno il target di riferimento oppure evidenziare quali sensazioni o emozioni i consumatori associano a certe categorie di articoli.

Esercizi del genere si rivelano utili per costruire una strategia comunicativa che sia adatta al marchio. Si avrà così una comunicazione coerente con la mission del brand e con la percezione che ne hanno le persone.

Rebranding

Gli indizi forniti dal neuromarketing consentono di individuare quale sia la posizione del marchio sul mercato e quale occupa nella mente dei consumatori rispetto ai principali competitor. In aggiunta, si possono scoprire quali sono gli aspetti più apprezzati dai clienti.

Ciò permette alle società di analizzare le cose da modificare e da migliorare e quali sono invece quelle più funzionali ed apprezzate in un processo di rebranding aziendale, magari con cambio logo o nome.

Product placement e packaging

Le ricerche nel campo del neuromarketing hanno evidenziato come il product placement sia efficace soltanto quando il prodotto ha un significato all’interno della narrazione.

È stato dimostrato che la memorizzazione del marchio da parte dei clienti tende ad aumentare quando c’è una corrispondenza con il programma o con il social nel quale il prodotto è inserito.

Inoltre, si possono eseguire dei test prima del lancio di un nuovo packaging per sapere se il design è all’altezza delle aspettative dei consumatori. Proprio l’eye-tracking è di grande aiuto per scoprire quali articoli attirano l’attenzione sullo scaffale e se ci sono informazioni difficili da trovare sulla confezione.

E-commerce e web design

Le medesime tecniche di eye-tracking vengono impiegate per studiare quali sezioni o pagine di siti web o siti di e-commerce attirano di più l’attenzione e quali sono invece gli elementi ignorati o meno accattivanti.

Le neuroscienze rivelano dati interessanti sulle distorsioni cognitive per potrebbero condizionare la percezione della realtà e le scelte d’acquisto. La comprensione di tali dettagli può essere tenuta in considerazione quando si sviluppa il design di un sito di e-commerce. Per esempio, l’indicazione di un prodotto in esaurimento produce generalmente la sensazione di urgenza nell’acquisto, spingendo il cliente a comprare.